Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 28 nr. 242
febbraio 1998


Rivista Anarchica Online

Cyberfemminismo e queer
di Emanuela Scuccato

Soggetto universale, tecnologie, riproduzione artificiale, Chiapas, pensiero gender-free, ecc. Intervista a due redattrici di Fikafutura (colloquio di Emanuela Scuccato con WonderWoman e Rosie Pianeta)

Nel suo La rivolta libertaria del cyberpunk [Volontà numero 3-4/1993, Penne all'arrabbiata], Pietro Adamo afferma che "il cyberpunk, come esperienza culturale in senso lato, nasce dalle intuizioni estetiche e filosofiche di un gruppo di scrittori di science fiction" americani.
"Padri fondatori" del movimento sarebbero stati, agli inizi degli anni Ottanta, Bruce Sterling, Lewis Shiner, John Shirley e William Gibson, ai quali, secondo lo studioso, "bisogna forse aggiungere nel ruolo di genitori" Rudy Rucker e Pat Cadigan.
Ma se Adamo ha certamente ragione di collocare nel tempo e nello spazio - Austin, nel Texas - la prima sortita consapevole e polemica, con la fanzine Cheap Truth, di un gruppo di scrittori che si proponevano di "creare la letteratura originale di una società postindustriale" (Bruce Sterling), non dobbiamo dimenticare che nel panorama letterario fantascientifico la figura del cyborg è presente fin dagli anni Venti.
Secondo Antonio Caronia, uno dei massimi esperti italiani del settore, il primo "ibrido", una creatura cioè "in cui corpo dell'uomo e corpo della macchina si presentano inestricabilmente intrecciati", sarebbe infatti comparso proprio in un racconto del 1923: The Clockwork Man di E.V.Olde, al quale avrebbero presto fatto seguito gli altri due esemplari ormai storici di The Comet Doom, elaborato da Edmond Hamilton (1928), e di The Jameson Satellite, scritto invece da Neil R.Jones (1931). [A.Caronia, Il cyborg. Saggio sull'uomo artificiale]
Perché gli "ibridi" partoriti dalla fantasia degli autori di science fiction per tutti gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta (sarà lo scrittore Cordwainer Smith a scalzare il precedente topos letterario dell'alieno più o meno tecnologizzato nel senso della codificazione di un "ibrido" più vicino all'idea di "uomo mutato") possano essere compresi in un'unica, grande famiglia bisognerà arrivare a ridosso delle contraddittorie emozioni suscitate nell'opinione pubblica dalla paventata e ancora di là da venire conquista dello spazio. Toccherà appunto a due medici americani esperti in astronautica, Manfred Clynes e Nathan Kline, coniare quel temine cyborg (sigla di cybernetic organism) che dal 1960 identifica un vero e proprio immaginario virtuale.
D'altro canto, neppure il concetto di "iperspazio" è, in letteratura, dei più nuovi.
Enunciato per la prima volta nel 1934 in The mightiest machine dallo scrittore di fantascienza, nonché direttore della rivista-culto Astounding, John W.Campbell, l'"iperspazio" si prospettò fin dall'inizio come la soluzione più originale e plausibile ai problemi posti agli autori di science fiction dall'emergere, nel 1916, della teoria della relatività generale.
L'intuizione che il nostro spazio tridimensionale fosse "immerso in uno spazio 'più vasto', con più dimensioni (almeno quattro)..." e la conseguente ipotesi che un'astronave potesse "passare da un punto all'altro, in modo istantaneo, applicando un'ipotetica tecnica di 'curvatura', di torsione dello spazio tridimensionale all'interno dello spazio pluridimensionale, o iperspazio, che lo contiene" fu l'escamotage per continuare a produrre quelle fantastiche storie di cyborg provenienti dall'ancora inesplorata e terrorizzante immensità dello spazio - cyborgs "adaptive", "functional" o "medical" (secondo la classificazione di Brian Stableford) - che altrimenti, stante le equazioni einsteniane circa l'impossibilità per qualsiasi corpo di superare la velocità della luce (300.000 km/sec), non avrebbero più avuto alcuna ragione d'essere.
Da uno dei primi e più semplici modelli di cyborg, che "è anche il più radicale" (A.Caronia, op.cit.), cioè una scatola di metallo contenente un cervello ideata da Curt Siodmak nel '43 per il suo Donovan's brain, il patrimonio creativo degli autori di fantascienza si è andato via via arricchendo, a ruota di nuove e strabilianti scoperte scientifiche, di altrettanto nuove e strabilianti possibilità di prefigurare creature e mondi molto meno lontani dalla nostra quotidianità di quanto comunemente non si sia disposti a credere. Almeno da un punto di vista concettuale.
"È proprio in questo passaggio tra l'alieno e il cyborg che si esce dalla fantascienza per entrare in un altro mondo... Il cyberpunk è il rivelatore di un orizzonte simbolico finora impensato", scriveva nel 1991 la giornalista Anna Maria Crispino a proposito dei contenuti di un libro, il Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo che, tradotto in Italia solo qualche anno dopo, nel '95, avrebbe fatto epoca nel mondo della speculazione femminista internazionale.
Introducendo la metafora del cyborg come chiave di lettura di un mondo sempre più complesso e non più interpretabile secondo le categorie del pensiero occidentale classico - il pensiero dicotomico -, l'autrice del Manifesto, la biologa Donna Haraway, mette infatti a tal punto in discussione i percorsi della ricerca femminista fino a quel momento intrapresa da tracciare con il suo saggio una linea di demarcazione tra il prima e il dopo netta e ineludibile.
"Il cy-borg", scriveva la Haraway, "è il prodotto della fantasia narrativa ma anche dell'esperienza vissuta che cambia la scala di priorità di ciò che conta dell'esperienza femminile alla fine del ventesimo secolo".
Se alle soglie del terzo millennio, con l'ausilio delle tecnologie, la metafora del cy-borg risulta sempre più destabilizzante rispetto alla possibilità di continuare a mantenere un'iconografia salda e rassicurante del mondo e di noi stessi; se nuovi grimaldelli ci aprono inaspettati orizzonti interpretativi della realtà o ci danno addirittura accesso a nuove realtà attraverso la "simulazione", la "duplicazione", l'"ingegneria genetica", l'esplorazione dei "campi di differenze"; se tutto questo fa saltare in aria il vecchio Simbolico, che senso ha continuare a speculare intorno alla differenza tra uomo e donna?, sembrava chiedersi la studiosa americana.
"A noi riflettere sulle figurazioni che abbiamo finora scelto per costruire [la nostra n.d.r.] soggettività: ci consentono davvero di spostare l'asse della differenziazione [tra uomo e donna n.d.r.] dal dato sessuale", un dato che in un'epoca come la nostra risulta ormai sempre più inessenziale, per non dire anacronistico? si chiedeva allora, per parte sua e con grande acume, Anna Maria Crispino.
Immaginando di assumere lei stessa il cyborg come "figurazione" politica, la giornalista non poteva esimersi dal riflettere che un'eventuale analisi e individuazione "di una sorta di 'inattualità' del femminismo che abbiamo finora pensato..." poteva rivelarsi davvero "inquietante".
Mentre in linea di massima nella letteratura cyberpunk al maschile degli anni Ottanta i personaggi femminili restavano sostanzialmente ancorati a degli stereotipi, come quello per esempio della "femme fatale" nel caso della gibsoniana Molly di Neuromance (A.Caronia), la "figurazione femminista" del cyborg teorizzata dalla Haraway contribuiva a quell'"esplosione di immagini, di teorie, di rappresentazioni di una nuova soggettività femminile pensante" che intendevano porsi consapevolmente "all'altezza del contesto politico e intellettuale che stiamo vivendo" (Rosi Braidotti).
A raccogliere il messaggio dirompente del Manifesto cyborg, a contestualizzarlo dal punto di vista culturale, a scandagliarne i contenuti a vari livelli è in Italia, tra gli altri, un gruppo di redattrici che lavorano a vario titolo - siamo nei primi anni Novanta! - presso la neonata e già mitica SHAKE Edizioni Underground. I loro primi interventi sono pubblicati a firma Cromosoma X sul semestrale Decoder, la rivista internazionale che la SHAKE edita a Milano fin dal '92.
Nel panorama abbastanza a senso unico del femminismo di casa nostra, incanalato principalmente in quello che passa come "il pensiero della differenza", Cromosoma X fa indubbiamente un lavoro di frontiera.
È però con lo speciale Il cyborg come antimaterno: le tecnologie di riproduzione tra liberazione e medicalizzazione [numero doppio 4-5 di Decoder 1994] che le autrici dell'articolo provocano un vero e proprio maremoto nell'ambito di parte del Movimento femminista italiano. Scegliendo di affidarsi alle parole della teorica americana Shulamith Firestone: "... l'obiettivo finale della rivoluzione femminista deve essere (...) non solo l'eliminazione del privilegio maschile, ma della stessa distinzione dei sessi: le differenze genitali tra gli esseri umani non avranno più nessuna importanza culturale", Cromosoma X si lascia infatti alle spalle in modo definitivo "la teoria della differenza" per imboccare l'avventurosa strada del confronto costante con la complessità di un cybermondo sempre più tecnologizzato.
Il progetto di costruire una rivista cyberfemminista diviene quindi bisogno esistenziale.
Dalla loro possono contare su tematiche del tutto nuove, sulla voglia di sviscerarle e di guardare avanti.
Soprattutto, Cromosoma X può dire di avere lavorato alla realizzazione di un abito mentale inconsueto per gran parte delle donne del Femminismo storico: la disponibilità a fruire in toto di quella tecnologia "pensata dal patriarcato per opprimerci" [v. intervista] per ribaltarla in un formidabile strumento di liberazione.
La SHAKE, una Casa Editrice che del cyberpunk ha fatto il suo pane quotidiano, le appoggia.
Il primo numero di "Fikafutura" è uscito nelle librerie e nei punti vendita Feltrinelli all'inizio dell'estate. Ed è già in ristampa. Il secondo numero è in vendita a partire dal mese di marzo.

"Noi siamo la fika moderna l'antiragione positiva (...) noi siamo il virus del nuovo disordine mondiale che distrugge il simbolico dall'interno (...) la clitoride è una linea diretta con la matrice VNS MATRIX annienteremo il codice morale (...) noi siamo la fika futura".

Questo è l'edito del primo numero della rivista. Lo hanno ripreso dal testo di "A Cyber Manifesto for the 21st Century" di VNS Matrix "da una parte per dare un senso al titolo della rivista, dall'altra perché ci sentiamo profondamente affini alle sorelle australiane", scrive WonderWoman nel suo Bad Code, una dichiarazione di intenti decisamente al vetriolo.
Lo scopo comune?
"(...) investigare e decodificare le narrazioni del dominio e del controllo che accerchia la cultura tecnologica...".
Perché, scrive Cromosoma X citando la scrittrice francese Marguerite Duras: "La sola cosa che conta è la pazzia, non aver paura di smarrirsi".

Emanuela Scuccato

... Dunque a fare Fikafutura siete in tre.

Sì, io [WonderWoman n.d.r.], lei, che è Rosie Pianeta, e DeadRed.

Voi lavoravate già a Decoder...

WW No, non precisamente. Su Decoder sono stati pubblicati alcuni nostri articoli firmati come Cromosoma X... Su Decoder perché non avevamo una rivista nostra...

RP Non siamo della Redazione di Decoder.

WW ... Poi è vero che Decoder la fa la Shake [Shake edizioni n.d.r.], Fikafutura la fa la Shake e noi due siamo della Shake... Diciamo che la Shake e le due riviste sono...

Unite.

WW Chiaro. È Rosie Pianeta che cura la grafica di Decoder...

RP Non di tutti i numeri però... Di qualche numero sì, di Fikafutura ovviamente sì, della maggior parte dei libri editi dalla Shake sì.

WW La cosa è molto amalgamata.

E come vi è venuto in mente di pensare a un pubblico femminile... Perché credo che voi abbiate pensato a un target prettamente femminile... Naturalmente Fikafutura la leggeranno anche gli uomini...

RP Siamo stupite del fatto che ci sono molti uomini che l'hanno comprata... E questa cosa ci diverte. A me personalmente fa anche piacere comunque. Uomini che sono curiosi di leggerla... [...]

Ecco, venendo ai contenuti di Fikafutura... Rosi Braidotti [saggista, direttrice del dipartimento di Women's Studies della facoltà di lettere dell'Università di Utrecht, in Olanda, e dell'Istituto Nazionale di Ricerca Femminista n.d.r.], parlando della crisi del soggetto universale, cioè della crisi che oggi investe la ragione classica, sostanzialmente dice che le studiose che hanno lavorato e stanno ancora lavorando intorno alla proposizione di nuove "figurazioni femministe", in particolare le cyberfemministe che si riconoscono nella ricerca di Donna Haraway [saggista, autrice del celeberrimo Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo n.d.r.], stanno sì compiendo uno sforzo enorme per dotarsi di categorie che consentano nuove e più idonee chiavi di lettura del mondo attuale, ma corrono un grosso rischio, quello "di uno scavalcamento troppo rapido delle barriere strutturanti, per esempio della differenza sessuale". Il che, secondo Braidotti, condannerebbe le donne "a una forma di povertà simbolica" e ne ostacolerebbe "il progetto di affermazione" delle soggettività emergenti.
"Sarebbe come obbligarci a passare dal feudalesimo al regime postindustriale senza mai lasciarci attraversare il momento strutturante dell'industrializzazione o modernizzazione", scrive la studiosa. Cioè mentre il soggetto, storicamente dato come universale e maschile, è nel pieno della crisi, le cyberfemministe arrivano direttamente al "soggetto queer", a proporre e a teorizzare un'identità altra, "non più presa nel binomio etero/omosessualità". Questo, però, senza che ci sia stata la possibilità per il soggetto femminile di porsi...

WW ... Più che il soggetto universale e maschile, è entrato in crisi il soggetto in quanto tale. Da Nietzsche in poi.

Il soggetto universale, che comunque si dava al maschile...

WW Ma questo lo dicono le teoriche della differenza, che il soggetto universale è maschile. Io ti dico: non sono una filosofa, non sono una teorica, ti dico quello che io colgo dalle mie letture che sono più vicine all'esistenziale che al teorico...
Una come Rosi Braidotti fa un percorso accademico, segue un certo filone di pensiero che è Deleuze, Foucault ecc., io no. Faccio anche abbastanza fatica ad entrare nel merito squisitamente teorico. Entro nel merito dal punto di vista esistenziale, che è diverso. E ti dico: che il soggetto universale fosse maschile lo dicono le teoriche della differenza. Io non lo so se è vero o no. Dal punto di vista esistenziale secondo me non è vero. La donna, a differenza di come dicono e in polemica con quello che è la teoria della differenza, per me non è innocente. Non lo è mai stata. Anzi è sempre stata corresponsabile del disastro universale. Non sono assolutamente d'accordo sul fatto che la donna è rimasta a guardare perché impotente.

Probabilmente ha usato altri canali, altri modi...

WW Ha usato altri canali, altri modi, ma comunque, anche non usando gli stessi canali maschili, si è resa corresponsabile del disastro. Se tu stai lì e guardi e non intervieni, non ce n'è... Perché tu, donna, sei nel mondo e agisci nel mondo. Per il solo fatto di essere e di agire nel mondo tu sei responsabile di quello che nel mondo succede, secondo me. Poi, che la donna non abbia avuto le stesse possibilità concrete dell'uomo sono d'accordo; che la donna parta da una posizione di svantaggio enorme, di arretratezza culturale ancora più grande sono d'accordo... Però ancora una volta, con la tecnofobia della teoria della differenza, la teoria della differenza si rende responsabile del non- intervento nel nostro cybermondo. Infatti Rosi Braidotti nell'introduzione al Manifesto cyborg [op.cit. n.d.r.] dice una cosa importantissima. Sul terreno della tecnoriproduzione, cioè della riproduzione ad alta tecnologia, si sta giocando qualcosa di grosso e le donne rischiano, con il non-intervento su questo, di perdere il treno. E stavolta per sempre. Lei dice che rischiano di essere tagliate fuori dalla Storia.

La Braidotti attribuisce infatti grandissima importanza alla presa di posizione delle donne su questi argomenti e per quanto la riguarda si esprime a favore di una liberalizzazione totale del mercato della riproduzione.
"Io sono per il libero mercato della riproduzione, per i supermercati riproduttivi", scrive Rosi Braidotti nel suo Per un femminismo nomade. E aggiunge: "... e mi oppongo a qualsiasi legge che controlli la riproduzione, per quanto 'artificiale' essa sia".

WW Ma ci mancherebbe...

RP C'era comunque anche un intervento di Simone De Beauvoir su questo...

WW Infatti nell'articolo Il cyborg come antimaterno [Il cyborg come antimaterno: le tecnologie di riproduzione tra liberalizzazione e medicalizzazione, a cura di Cromosoma X, Decoder n. doppio 4-5 n.d.r.] noi la citavamo. La storia della discussione sulla tecnoriproduzione non parte certo da Rosi Braidotti, non parte dal cyberfemminismo. Parte prepotentemente dagli anni '70 con Shulamith Firestone [teorica femminista americana che agli inizi degli anni Settanta aveva appunto teorizzato la liberazione delle donne attraverso le gravidanze in vitro n.d.r.], che ha fatto un saggio, un testo fondamentale, proprio su questo...
Ecco perché prima parlavo di forzature. La teoria della differenza ha negato completamente questo. Luce Irigaray [psicoanalista belga, autrice di numerosi saggi tra i quali il celeberrimo Speculum n.d.r.] ce l'hanno proposta in centomila salse, cioè qualsiasi cosa scriva Luce Irigaray sembra che abbia parlato chissà chi. E ultimamente, poi, devo dire che lascia anche un po' perplessi. Speculum, però, mi era piaciuto molto. Comunque non gli davo l'interpretazione che gli è stata data... Sono d'accordo con Rosi Braidotti, con quello che ci ha detto nell'intervista [Rosi Braidotti/Intervista, a cura di Cromosoma X, Decoder n.triplo 6-7-8 n.d.r.]: che cioè il pensiero di Irigaray è stato decontestualizzato... [...]

Ma per tornare alla Braidotti, nell'intervista realizzata da voi [v.cit.], ad un certo punto la studiosa parla della femminilizzazione come del "modello con il quale si presenta la mascolinità moderna".
Al di là della convinzione di Rosi Braidotti, secondo la quale per poter fare "un discorso politicamente sovversivo dobbiamo rispettare le asimmetrie" tra uomo e donna, il che può naturalmente essere discusso, mi sembra di cogliere al fondo di questo processo di femminilizzazione del maschio, che sarebbe in atto, oltre ai lati indubbiamente positivi, anche una terribile metafora. Come se, in un sempre più reale e vicino modello di società high-tech, un "postgenere" femminilizzato, proprio in forza di quell'immaginario culturale che ha sempre rappresentato la donna come soggetto passivo, risultasse molto più idoneo al controllo e al conseguente assoggettamento da parte delle nuove concentrazioni di capitale, quelle che oggi vanno sotto il nome di Neoliberismo. Una metafora terribile e sconcertante perché ora allargata anche agli uomini, primi tra tutti quelli che non si riconoscono più nei modelli di virilità in circolazione... Mi sembra che Braidotti, al di là del suo straordinario apporto alla speculazione femminista, non valuti appieno la pericolosità del processo politico attuale, che coinvolge, secondo me, tutta l'umanità.

WW Lei si riferisce al fatto che il soggetto è entrato in crisi...

...Bisogna poi tenere presente che noi stiamo sempre parlando di Occidente...

WW ...È in Occidente che c'è la cultura giudaico-cristiana. Poi anche in Oriente le donne le sottomettono... Per altre vie.

Le stragi in Algeria colpiscono prevalentemente le donne. Il fondamentalismo islamico...

WW La religione è la principale rovina delle donne...

... Sì, ma lì è politica però...

WW ... Lì peggiora ulteriormente perché la religione è stato e quindi siamo al delirio totale.

Da noi c'è almeno questa parvenza della laicità dello stato.

WW Da noi la cosa è infingarda. Perché poi il fatto che in Italia c'è il papa si vede, eccome. L'Italia è un Paese del Terzo mondo inserito nel Primo mondo proprio perché c'è il papa. Il papa dovrebbe starsene zitto, occuparsi solo dei fatti suoi senza entrare nelle questioni inerenti al mondo laico. L'intromissione del papa nella vita della gente è una cosa intollerabile e io non capisco come non si sollevi il popolo...

... È un popolo strano. Tutti cattolici, però poi hanno votato per il divorzio e per l'aborto...

WW Io, adesso come adesso, se ci dovesse essere un referendum avrei veramente paura. Sull'aborto non ce n'è, quelli che vanno in chiesa oggi voterebbero contro. Coerenti.
Se pensiamo per esempio alla questione della bioetica, alla legge che volevano fare, l'unica proposta libertaria è stata quella di Rifondazione Comunista, presentata da Ersilia Salvato. L'unica, perché tutte le altre, compresa quella dei Verdi, erano tremende, cioè erano di picchettare tutto quanto. RC invece diceva che, fatte salve ovviamente le condizioni di igiene, sicurezza, privacy ecc., la fecondazione artificiale doveva essere del tutto libera, tanto quella omologa, cioè con sperma e ovuli propri, quanto quella eterologa, cioè con donatore esterno. La commissione di bioetica, che è composta, o almeno in teoria dovrebbe essere composta, da gente di sinistra, aveva addirittura resa pubblica una dichiarazione scritta dove si affermava di ritenere che l'embrione fosse persona fin dal concepimento. Ergo, l'aborto è omicidio. Al che io ho pensato: adesso sta a vedere che mettono in discussione la 194, rifanno il referendum, e noi si torna indietro... Perché la gente, negli ultimi dieci anni, non ha fatto che rintronarsi sempre di più... [...]

Per tornare ai contenuti della rivista, parliamo un po' anche di questo "soggetto queer"...

WW Bisogna fare un passo indietro. Ci ricolleghiamo al discorso che si faceva prima su Donna Haraway, cioè a questa messa in discussione che lei fa della dicotomia giudaico-cristiana.
Il pensiero scientifico e teorico si basa sulla dicotomia: nero/bianco, cattivo/buono, yin/yang; l'uomo è la luce, la donna le tenebre; l'uomo è il bene, la donna è tentatrice e quindi rappresenta il male... E via di questo passo.
Se il pensiero dicotomico ha fatto il suo tempo, la Haraway afferma che per riuscire a figurarci l'ingresso dell'essere umano nel linguaggio - perché è questo il punto fondamentale -, bisogna immaginare il corpo non più come mera materia, ma come un incrocio di linguaggi. Visto il suo background scientifico, lei porta l'esempio dell'AIDS, del male del secolo. L'AIDS è un virus, dunque un linguaggio. L'informatica è un linguaggio...

... Anche Evelyn Fox Keller, nel suo Vita, scienza e cyberscienza, affrontando queste tematiche parla di corpo come "rete di informazione"...

WW Sono tutte questioni nuovissime, temi sui quali si va a ragionare adesso... Oggi come oggi, tutto questo si esprime molto meglio attraverso una Kathy Acker, che non a caso fa narrativa, non saggi.
(Per esempio nella collana Interzone di Feltrinelli, una collana curata per l'appunto da due collaboratori della Shake, la stessa che pubblica Donna Haraway, dovrebbe uscire tra poco un libro di Sandy Stone, che prima era un maschio e ora è una femmina. Un libro su desiderio e tecnologia, che va a toccare anche la psicanalisi...)

... Ci troviamo di fronte a nuovi orizzonti di pensiero, straordinariamente articolati...

WW ...Sono tutti nuovi input. Si introducono categorie di pensiero nuove, metafore nuove, si sollevano nuovi problemi... Tutto questo è tecnofilo. Tecnofilo, ma critico. La tecnologia come strumento non viene esclusa come faceva tutta la paccottiglia precedente. Ed è da lì che deriva il discorso del corpo come linguaggio, proprio dall'uso della tecnologia. Quindi, se il pensiero dicotomico non ha più senso che esista - la dicotomia mente-corpo per prima - perché non rappresenta la realtà...
Ed inoltre il nostro stesso corpo è già corpo tecnologico perché noi ci nutriamo di linguaggio, dalla soia transgenica ai pomodori modificati.
Ma già in precedenza il linguaggio veniva teorizzato come tecnologia di per sé. E in effetti è così: il linguaggio è esso stesso tecnologia, una prima forma di tecnologia.
Allora, per tornare alla tua domanda sul "soggetto queer", partendo da questi presupposti Donna Haraway afferma che, caduto il pensiero dicotomico, occorre trovare nuove meta-fore per rappresentare la realtà. Haraway indica come metafora il cyborg. In sé il cyborg ha l'organico e il meccanico, ha la natura e la cultura. (Che poi un'altra dicotomia, dopo quella di mente e corpo, è proprio quella di natura-cultura).
Quindi il cyborg riesce a rappresentare il reale incorporando le dicotomie. Fornisce una nuova metafora di rappresentazione del reale, che è un "ibrido". Donna Haraway usa proprio questo termine. Da questo "ibrido" deriva il "soggetto queer".
Che cos'è il "soggetto queer"? È quel soggetto che non si identifica più non solo nel maschio e nella femmina, ma nella dicotomia stessa che c'è alla base del maschio e della femmina. Il "queer" non è un transessuale. O non è solo un transessuale. Non è un travestito. O non è solo un travestito... [...]

Siamo di fronte ad una molteplicità di metodologie di ricerca, di approcci... Che impatto può avere tutto questo, secondo voi, nel pubblico sia femminile che maschile al quale vi rivolgete con Fikafutura?

WW Secondo me un impatto c'è già stato. Forte. In generale il cyberfemminismo ha dato uno scossone notevole anche a strutture come l'Università delle Donne, che pur rimanendo su posizioni ancora molto distanti cominciano a tenere conto di queste nuove realtà di pensiero...

Ma l'impatto con le donne in generale, con i lettori della rivista, come è stato?

WW Molto buono direi...

... Perché il pensiero high-tech sta operando una rivoluzione...

WW Il pensiero high-tech è già entrato nella quotidianità, sta già cambiando il quotidiano. In peggio, purtroppo. Secondo me la tecnologia è già entrata nella testa della gente. Però solo per l'aspetto superficiale e repressivo, diciamo così. Di paura. Da una parte si ha paura, dall'altra ci si lascia reprimere dalla tecnologia.

Un esempio può essere quello dei bambini, che sanno usare benissimo i videogiochi, i computer, ma mancano totalmente di strumenti critici...

WW ... È già buono così, perché almeno questi bambini non subiscono la repressione ideologica che sta dietro l'uso della tecnologia. Per loro si tratta solo di mezzi, punto e basta. Un po' come per noi il telefono. Qualcuno si è mai fatto problemi ad usare il telefono? Così è anche per i computer, per Internet. Tu ti colleghi ad Internet, prendi le informazioni che ti interessano, punto. Che cosa farai poi di queste informazioni dipende da te...

C'è anche un discorso di fonti dell'informazione, quello che sta all'inizio... Ma per tornare all'esempio dei bambini, sono assolutamente d'accordo con te che è un bene che usino senza farsi problemi i mezzi tecnologici più avanzati... La questione è semmai aiutarli a capire, per esempio, per quale ragione un videogioco è strutturato proprio in quel modo, stimolarli a domandarsi, almeno qualche volta, chi ci sta dietro. Chi lo programmi e chi lo produca. I genitori e gli educatori sono spesso del tutto impreparati a farlo. Spesso sono passivi, acritici. Non si rendono conto che anche queste sono tutte forme di controllo del pensiero...

WW Bisogna ragionarci sopra. E se le donne continuano a pensare di essere solo madri, caschiamo proprio male. Bisogna ragionarci, nessuno ha delle risposte. Noi non diciamo, né Donna Haraway dice, né il cyberfemminismo dice che la tecnologia ci farà fare la rivoluzione. Anche questo rientra nel pensiero dicotomico per cui una cosa o è male o ti fa fare la rivoluzione... Ma quando mai?

Il bello di questa molteplicità di approcci di ricerca, di questa ricchezza di input diversi, è che almeno in potenza accresce la libertà di pensiero. Dà spazio ad una creatività che esula dal determinismo meccanicistico della dicotomia, soffocante e alla lunga forse improduttivo. Come è in parte accaduto nel femminismo...

WW Per questo che dico che anche le donne sono state storicamente corresponsabili dei disastri che sono avvenuti. Hanno messo in discussione ciò che gli uomini dicevano, ma non hanno mai discusso il modo di fare teoria degli uomini.

Mi vengono in mente le donne del Chiapas che lottano a fianco degli uomini per ottenere il rispetto dei loro più elementari diritti da parte del Governo messicano, ma che dai loro uomini non sono per niente rispettate. In questo caso specifico, da una parte c'è Internet, cioè la rete di informazione fino a questo momento più evoluta, che viene usata per far sapere al mondo cosa sta succedendo laggiù in tempo quasi reale, dall'altra c'è una coercizione...

WW A loro, però, tanto di cappello. Si sono prese il fucile e si sono messe a fare la rivoluzione...

Su questo io non sono d'accordo, o perlomeno credo che la cosa vada vagliata a fondo. Bisognerebbe avere la forza di puntare agli obiettivi senza perdere di vista se stessi, la propria ricerca, la propria dignità. Però sono d'accordo con te quando dici che c'è una corresponsabilità delle donne in tutto quello che è successo e succede al mondo. Riguardo alla tecnologia...

WW ... È possibile che le donne non inventino mai niente, non facciano mai niente? [...]

Parlare di gender-free, nel senso dell'acquisizione consapevole di un particolare abito mentale, significa quindi parlare di approcci di ricerca esistenziale, scientifica e quant'altro, liberi da ogni pre-condizionamento culturale e sociale... Almeno in potenza.

WW Siccome il gender è il sesso culturale, mettiamola così, appartieni a un gender o a un altro per libera scelta. Cioè, tu puoi essere anche un maschio, ma se ragioni come una donna, se percepisci il mondo da donna, non ha alcuna importanza che tu biologicamente sia un maschio. Tu sei una donna perché hai scelto di appartenere a un gender di un certo tipo. E qui viene fuori tutto un discorso importantissimo, cioè la messa in discussione della supposta spontaneità dell'essere femmina e dell'essere maschio...

Questo lo aveva già detto, negli anni Cinquanta, Simone de Beauvoir [saggista e romanziera francese n.d.r.] quando ne Il secondo sesso aveva reso evidente che "donna non si nasce, lo si diventa"...

WW Sì, non è un discorso nuovo.

La speculazione della de Beauvoir è stata straordinaria proprio per aver palesato il condizionamento culturale e sociale fortissimo che sta alla base della creazione della donna in quanto tale. La novità, oggi, è quella di poter scegliere il prorio gender di appartenenza, con tutti i limiti e i pericoli di autocondizionamento che anche questo comporta.
Smascherare i condizionamenti, spogliarsene, è infatti una battaglia durissima. Perché ce li hai dentro. Ed è vero che un certo femminismo si è fermato e non ha saputo andare avanti...

WW Il femminismo della differenza ha fatto ancora peggio. Ha stabilito che, siccome sei donna, sarai pacificatrice di mondi, santa, madre, terra, immanenza... Cioè si torna indietro. Vuol dire che tu, siccome sei femmina ed è stato stabilito che hai l'ordine simbolico della madre [il riferimento qui è al saggio L'ordine simbolico della madre di Luisa Muraro n.d.r.], se mi permetti non scegli proprio un bel niente. Hai, come prima, il tuo bel parco-simboli bell'e fatto...

... L'amore e la trasmissione del linguaggio da parte della madre, il rapporto con la madre, sarebbero l'humus dal quale si svilupperebbe la "capacità di tessitura simbolica" dei filosofi [v. L'ordine simbolico della madre op.cit.]...

WW No, io qui dentro non ci sto, io il potere non lo voglio. E invece loro esprimono egemonia e un desiderio di presa del potere. Io non voglio il potere, né dal punto di vista simbolico né dal punto di vista pratico.

Come dicevi tu prima, si tratta di farle le cose. Di prendersi l'autorità, non il potere, l'autorità per farle.

WW La responsabilità di farle...

... La responsabilità e l'autorità di fare le cose in cui si crede. E poi di confrontarsi. Per tornare a Fikafutura, e per concludere, mi sembra giusto spendere una parola anche sul linguaggio della rivista, che è abbastanza duro, aggressivo. È una scelta precisa?

WW Da una parte siamo tutte e tre piuttosto vivaci...

... In effetti, a sentirvi parlare, mi rendo conto che non c'è quasi mediazione tra come vi esprimete adesso, qui, e il modo di scrivere...

WW Per quanto mi riguarda è una scelta precisa.

RP Nell'uso del linguaggio di Fikafutura c'è anche un taglio ironico...

... Che risulta anch'esso dirompente, mi pare. Perché si pone con una forza e un'intensità difficilmente riscontrabili altrove...

WW Sì, il linguaggio è una scelta precisa, la spontaneità studiata, diciamo così, riflette il nostro modo di essere. Siamo veramente così: un po' aggressive. O meglio, energiche. Perché è comunque vero che non viviamo in un'isola felice, è vero che a differenza degli uomini, per poter riuscire, una donna deve sempre dimostrare di...

- Pietro Adamo, La rivolta libertaria del cyberpunk, in "Volontà" num. 3-4/1993, Penne all'arrabbiata, da Cervantes ai cyberpunk
- Antonio Caronia, Il cyborg. Saggio sull'uomo artificiale, Roma/Napoli, Theoria, 1985
- Donna Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, Feltrinelli, 1995
- Anna Maria Crispino, Meglio cyborg che dea, in "Legendaria, libri e percorsi di lettura" num. 3-4-5/1991
- Cristina Cilli, Anche gli androidi hanno un sesso, in "Legendaria, libri e percorsi di lettura" ib.
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- Aliene, amazzoni, astronaute, a cura di Oriana Palusci, Oscar